Quando i restauratori sono stati chiamati a intervenire su opere sulle quali sono state già effettuate operazioni di restauro, lo scenario prende un aspetto di difficile lettura. Bisogna, in base all’epoca del precedente intervento, capire quali potessero essere allora i mezzi a disposizione degli operatori che si trovavano a risolvere problemi di disgregazione dei supporti o consunzione dei colori dovuti a umidità o agenti atmosferici. Fondamentale era arginare la perdita della pellicola pittorica e bloccare le solfatazioni, talvolta inesorabili, con le tecniche e la diagnostica che dovevano fare ancora passi da gigante nei tempi a venire; soprattutto individuare le materie giuste, frutto ancora di intuizioni pioneristiche.
Un affresco che viene realizzato in un chiostro, se pur al coperto, deve fare comunque i conti con le intemperie e le escursioni termiche stagionali, che segnano sulla superficie dipinta il loro passaggio nel corso degli anni.
Sulle lunette del chiostro grande di Santa Maria Novella si è dovuto comprendere per ogni superficie dipinta, il metodo intrapreso nel precedente intervento. Tutti gli affreschi sono stati, se pur in tempi diversi, staccati dal supporto murario originale. Questa operazione così potente nel suo significato, era, allora, l’unico vero modo per mettere in salvo la pittura da una consunzione inarrestabile, causata sia dall’ubicazione esterna, sia da tragici eventi come l’alluvione del 1966 che vide l’acqua, intrisa di ogni impurità, coprire per metà la superficie dipinta. Lo stacco, prevede lo "sradicamento" dell’intonaco dipinto dal supporto murario. Mediante un’intelatura dal davanti, fissata tramite incollaggio con colla animale rimovibile, la pittura viene così posta in sicurezza, al sicuro dal percuotimento, che distaccherà l’intonaco dalla parete. Una volta rimosso l’eccesso di malta, viene posto da tergo, una tela che ancora l’intonaco dipinto, che è bloccato, in seguito, su un nuovo supporto che farà le veci del muro.
L’intonaco di un affresco staccato viene molto assottigliato e il velo pittorico va dai 2 ai 4 millimetri circa; una pellicola pittorica così sottile, perde spesso di adesione nel tempo e come prima operazione si sono consolidate tutte quelle parti in procinto di staccarsi.
In secondo luogo si è iniziata l’operazione della pulitura, che è stata intrapresa seguendo sostanzialmente tre gradi di modalità, differenziandola in base ai sedimenti da rimuovere. Oltre ai sedimenti atmosferici, dovevano essere rimossi, su alcune superfici, dei cosiddetti "beveroni", una miscela pigmentata legata con colle organiche, applicata a velatura, talvolta sull’intera superficie; vecchio metodo per risolvere squilibri cromatici e allo stesso tempo portare a tono le lacune.
Su due lunette particolarmente alterate e intrise di materie incoerenti, è stata effettuata una pulitura più profonda, eseguita con impacco di pasta di legno e carbonato di ammonio. Il restauro pittorico su superfici così provate, prende un’importanza fondamentale.
Considerando i diversi stati di conservazione e le diverse modalità di pulitura eseguite, si è intervenuti pittoricamente abbassando per gradi le lacune, partendo da quelle più estese fino a quelle più piccole e collegabili tra loro, attraverso una sensibilizzazione dei toni di colore più vicini alla superfice originale, riuscendo in molti casi a ricostituire le linee compositive e ridare migliore lettura della raffigurazione.
I lavori sono stati eseguiti da C.E.R. Consorzio Edile Restauratori di Firenze