Dal 12 settembre, nella città dei Sassi, Capitale della Cultura 2019, cittadini, stampa, addetti ai lavori possono finalmente godere di un’opera d'arte tornata patrimonio di tutti grazie al contributo di Rigoni: gli affreschi della Chiesa di San Giovanni in Monterrone.
L'azienda veneta non è nuova a questi progetti: il primo risale al 2015, quando fu restaurato l’Atrio dei Gesuiti del Palazzo di Brera seguito da quello della statua di San Teodoro di Palazzo Ducale, a Venezia, e dal recupero della fontana Venezia sposa il mare, nel cortile di Palazzo Venezia a Roma.
Rigoni di Asiago fedele a principi legati alla qualità e all’attenzione verso l’ambiente, porta così avanti un connubio che lega le logiche imprenditoriali a quelle della cultura e dell’arte. “Ringrazio la città per la calda accoglienza che ha riservato a me e ai miei collaboratori - ha dichiarato Andrea Rigoni, Presidente e AD Rigoni di Asiago -. Ci tengo a citare l’Arcidiocesi di Matera-Irsina e la Cooperativa Sociale Oltre l’Arte, che mi hanno supportato con energia. Un grazie anche a tutti i professionisti, in primis a Fondaco, che hanno condiviso con me questo progetto vissuto come un sogno, giorno dopo giorno, con passione”.
La Chiesa di San Giovanni in Monterrone
L’aspetto caratteristico di Matera consiste nella particolare conformazione delle abitazioni, degli opifici e delle chiese degli antichi rioni, in particolare dei Sassi, ricavati nella roccia e in parte costruiti in blocchi di calcarenite, pietra comunemente nota come tufo.
La chiesa rupestre di San Giovanni in Monterrone, totalmente ricavata nel masso roccioso ad eccezione della facciata e l’adiacente Santa Maria de Idris, si colloca in un pittoresco promontorio tra il Sasso Caveoso e l’antica contrada del Casalnuovo. Dedicata a San Giovanni Battista, la chiesa si presenta a unica navata e alterata, rispetto all’aspetto originario, dalla realizzazione di ambienti laterali ricavati soprattutto a scopo funerario.
Probabilmente risalente all’XI secolo, doveva presentarsi interamente decorata da affreschi realizzati a partire dal momento dell’escavazione e nei secoli successivi ma senza grandi rilievi di tipo architettonico.
Dei diversi impianti decorativi succedutisi, sopravvivono soltanto poche tracce. Entrando nell’aula dall’antica porta di accesso, sulla sinistra, si ammira l’affresco cinquecentesco dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista. Il Battista, come di consueto, indica l’Agnus Dei rappresentato poco più in basso; l’Evangelista regge con la mano sinistra il suo tipico attributo iconografico: un calice con un serpente. Di fronte, lungo il fianco destro, sono evidenti alcuni santi non identificabili e un altro palinsesto. All’antica immagine di Sant’Andrea, di cui è visibile il solo volto, severo e affilato, con capelli lisci e divisi, è sovrapposta una Madonna con il Bambino riconoscibile dalle mani e dal Bambino col nimbo crucigero. Accanto, sono affrescate le immagini di un giovane santo e di San Girolamo.
La piccola cappella, scavata sempre a scopo funerario sul fianco destro dell’aula, presenta una pregevole decorazione a fresco: da un lato sono evidenti San Pietro e San Giacomo maggiore (primo ventennio del XIV secolo); di fronte l’Annunciazione. Proseguendo sul fianco destro, si notano gli affreschi cinquecenteschi del Battesimo di Cristo nel fiume Giordano e parte di un pannello con la scena della Conversione di Sant’Eustachio, patrono della città di Matera.
Nel XVI secolo San Giovanni e Santa Maria de Idris erano entrambe dotate di un beneficio ecclesiastico di libera collazione dell’Arcivescovo di Matera e Acerenza; successivamente, con l’erezione e la costruzione del Seminario Arcivescovile, furono annesse tra alle proprietà del nuovo ente.
Profanata nel corso del XVIII secolo, il 20 marzo 1803 la chiesa fu concessa in enfiteusi perpetua, dall’Economo e Procuratore del Seminario, alla confraternita di Santa Maria dell’Idris che provvide a realizzare una nuova facciata, un nuovo altare e il corridoio di collegamento con l’adiacente chiesa di Santa Maria.
Pur essendo stata quasi del tutto abbandonata a seguito dello sfollamento dei rioni Sassi, la chiesa è stata sempre oggetto di attenzione da parte di storici e studiosi. Non mancò il tempestivo intervento dell’Ente Provinciale per il Turismo che nel 1974 finanziò una prima messa in sicurezza del complesso. In questa circostanza si procedette a una pulizia generale del sito, alla demolizione di un ossario, al rifacimento delle murature abbattute dai vandali, alla sistemazione della porta d’ingresso e alla realizzazione di un impianto di illuminazione.

Ulteriori lavori di restauro furono eseguiti in previsione del Grande Giubileo del 2000. A seguito dell’abbattimento di un edificio abusivo degli anni ’50, costruito a ridosso della chiesa, il fianco roccioso è stato esposto per diversi anni alle intemperie con conseguente attecchimento di vegetazione in profondità.
Oggi, grazie agli ultimi lavori di restauro, gli affreschi di San Giovanni tornano a splendere e a illuminare i visitatori.
Marco Pelosi - Cooperativa Sociale Oltre l’Arte
Il restauro
Gli affreschi della Chiesa di San Giovanni in Monterrone si presentavano in mediocre stato di conservazione; diversi cicli pittorici sovrapposti non permettevano una facile lettura al visitatore poiché le superfici erano particolarmente occultate da patine biologiche e solfatazioni. Inoltre i dipinti sono stati oggetto nel corso dei secoli di numerose manomissioni e, l’incuria, ha causato lacune, fessurazioni, incisioni e abrasioni piuttosto pronunciate.
Molti materiali adoperati nei restauri precedenti si sono alterati negli anni anche a causa dell’habitat particolare che caratterizza gli ambienti ipogei. L’intervento di restauro è cominciato con una prima fase di studio delle tecniche esecutive, dello stato conservativo e delle sostanze soprammesse non coeve, che sono state poi nel dettaglio, riportate su dei grafici per la stesura di una mappatura, completa di legende, didascalie e documentazione fotografica.
Messi in opera i piani di lavoro, si è proceduti alla neutralizzazione della patina biologica, di piante con fusto e di radici che prolificano sulle coperture, mediante impiego di biocida naturale. Successivamente si è intervenuti per arrestare i difetti di adesione degli intonaci dipinti e durante la pulitura si è eseguito il preconsolidamento superficiale per ripristinare l’adesione e la coesione del substrato pittorico.
Il consolidamento di profondità è servito per porre rimedio ai difetti di adesione dei vari strati dei palinsesti e ai difetti di adesione degli intonaci al supporto murario in tufo. Essi sono stati rinsaldati mediante iniezioni di malte idrauliche prive di sali, a basso peso specifico e con alto potere adesivo per colmare le sacche dei distacchi e trattenere gli intonaci.
Al fine di riportare alla luce le cromie originali, offuscate dalla presenza di depositi superficiali di varia natura, sono stati eseguiti saggi di pulitura per determinare la tecnica più adeguata. Mentre si procedeva alla bonifica e alla rimozione meccanica di precedenti stuccature e ritocchi obsoleti, si eseguiva la pulitura e la desolfatazione delle superfici, mediante impacchi con resine anioniche e cationiche, rispettivamente per la bonifica dei sali non solubili in acqua e per l’asportazione di neo-carbonatazione formatesi negli ultimi vent’anni.
Le superfici bonificate sono state quindi consolidate localmente con nanosilici rispettando la compatibilità con la materia trattata. Si è proceduti poi al reintegro materico delle lacune a livello. Il reintegro è stato eseguito sulle stuccature chiare a livello della superficie con colori ad acquerello per rendere reversibile l’intervento, adoperando la tecnica del tratteggio verticale. Le abrasioni e piccole lacune sono state risarcite cromaticamente con i medesimi colori a tono. Per garantire la traspirabilità come in origine le superfici al termine del restauro non sono state protette da nessun prodotto.
Luca Vincenzo Pantone - Restauratore
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