Performance del packaging ad alta sostenibilità

Performance del packaging ad alta sostenibilità

Il fine-vita degli imballaggi è un tema centrale nelle valutazioni sulla sostenibilità: nuovi materiali bio-based sono disponibili per abbattere l’impatto ambientale. Ecco lo stato dell’arte secondo la professoressa Patrizia Fava, Dipartimento di Scienze della Vita, UNIMORE

Notizie dal mondo agroalimentare:
prodotti, mercati, tecnologie, processi di filiera

20

Dicembre
2018

La riduzione del peso degli imballaggi tradizionali, la loro semplificazione o l’adozione di materiali più “ecocompatibili” perché derivanti da fonti rinnovabili e biodegradabili e/o compostabili, fanno parte di quello che viene definito un approccio integrato per la soluzione del problema legato alla sostenibilità del packaging. La risposta a oggi sembra ancora provenire dall’applicazione di sistemi diversi fra loro che insieme concorrano ad affrontare in modo costruttivo il fine vita degli imballaggi. Il problema è complesso perché se da un lato le statistiche dicono che per l’impatto ambientale degli imballaggi, questi devono essere ridotti, dall’altro va considerato il loro ruolo principale di protezione e conservazione lungo il ciclo di vita degli alimenti che non può essere trascurato. Pena la crescita dei volumi di cibo sprecato, che già oggi ammonta a 88 milioni di tonnellate di alimenti gettati annualmente, con un costo stimato di circa 143 miliardi di euro (Rapporto UE - Fusions, 2016).

C’è un’attenzione crescente del mondo della ricerca scientifica nello studio delle relazioni tra scelte di packaging, sostenibilità e FLW (food waste and loss). Le soluzioni di packaging che minimizzano le perdite sia a casa sia lungo la catena di distribuzione e vendita sono quelle che porteranno a un più basso impatto nell’intera catena di produzione. È quindi importante pensare a imballaggi che proteggano il cibo in modo adeguato consentendo al consumatore di utilizzarlo per tutto il tempo della sua durata.

Una risposta arriva dall’uso dei materiali innovativi bio-based che garantiscano ottime prestazioni in termini di shelf life. Il punto di partenza per lo sviluppo di questi materiali non può prescindere da alcune importanti considerazioni:

  • il ciclo di vita del sistema: processo di produzione, utilizzo e fine vita e materiali in ingresso nel ciclo produttivo e quelli in uscita, comprese le cosiddette emissioni
  • valutazione della plastica sull’ambiente
  • l’attuazione di politiche per lo sviluppo sostenibile che elevino l’importanza degli impatti di tipo ecologico al pari di quelli economico-sociali.

Oggi i materiali si suddividono in tre principali categorie:

  • polimeri estratti direttamente da biomasse: polisaccaridi, quali la cellulosa, l’amido (MaterBi) e la chitina, e proteine come caseina, collagene. Tutti polimeri di natura idrofila, problematici per il confezionamento di prodotti umidi ma dotati di ottime caratteristiche barriere nei confronti dell’ossigeno
  • polimeri prodotti secondo i classici processi di sintesi, ma impiegando bio-monomeri rinnovabili: acido polilattico (PLA), biopoliestere sintetizzato a partire da monomeri di acido lattico
  • polimeri prodotti da microrganismi o da batteri geneticamente modificati. A oggi, l’unico esempio di tali biopolimeri è rappresentato dal polidrossialcanoato.

Quando si parla di bioplastica si fa riferimento a tutti quei polimeri appartenenti a famiglie di materiali originati da biomassa (bio-based), biodegradabili o entrambi. Su queste definizioni c’è da fare una distinzione.

I materiali bio-based infatti sono quelli prodotti totalmente o parzialmente da biomasssa, che si origina da piante come mais, canna da zucchero o cellulosa. Quando invece si parla di materiale biodegradabile si fa riferimento a un processo chimico, dipendente dalle condizioni ambientali (luogo, temperatura), dal materiale o dall’applicazione stessa, durante il quale i materiali sono degradati dai microrganismi presenti: se in condizioni aerobiche il prodotto è costituito da acqua, anidride carbonica e biomassa (senza introduzione di additivi artificiali); se anaerobiche da metano, acqua e biomassa. La biodegradabilità tuttavia non dà indicazioni circa il processo, ma dice solo che il carbonio organico presente sarà del tutto assimilato.

La biodegradazione di un polimero dipende esclusivamente dalla sua struttura chimica, motivo per cui è irrilevante se questo derivi da risorse rinnovabili (biomassa) o da risorse fossili non rinnovabili.

Gli elementi di partenza che costituiscono le plastiche biodegradabili possono essere distinti in due gruppi: polimeri derivati da fonti rinnovabili e poliesteri derivati da fonti fossili. La differenza tra questi due gruppi si limita alla diversa origine dei materiali che li costituiscono, essendo entrambi biodegradabili.

Polimeri biodegradabili da fonti rinnovabili

  • PLA (acido polilattico), amido termoplastico (TMS), amido miscelato con poliesteri e copoliesteri alifatici, esteri dell’amido, amido miscelato con materiali naturali
  • poliesteri di origine microbica
  • esteri di cellulosa
  • legno e altri materiali naturali.

Polimeri biodegradabili da fonti fossili

  • poliesteri alifatici sintetici - policaprolattone (PCL), polibutilene succinato (PBS)
  • copolimeri alifatici e aromatici sintetici - polietilen tereftalato/ succinato (PETS)
  • polivinil-alcol (PVOH), un polimero biodegradabile solubile in acqua.

Plastiche oxo-degradabili

Per realizzare una plastica oxo-degradabile vengono aggiunti specifici additivi degradabili alle plastiche convenzionali, non biodegradabili. Una volta rilasciati nell’ambiente, questi materiali si frammentano in piccoli pezzi, fino a diventare invisibili a occhio nudo; avviene dunque un primo passaggio di degradazione, ma non è ancora dimostrato che abbia luogo anche il secondo passaggio, necessario per poter parlare di biodegradabilità. I materiali così fatti, oggi presenti sul mercato sono quindi impropriamente etichettati come materiali biodegradabili eco-compatibili.

Per assicurare le prestazioni necessarie di protezione all’alimento un materiale deve essere scelto in base alle sue caratteristiche specifiche quali le proprietà barriera contro il vapore acqueo, contro l’ossigeno e le proprietà meccaniche.

Nelle tabelle 1 e 2 è riportata una classificazione dei principali materiali.

Tabella 1

Tabella 2

Da un punto di vista tecnico, studi recenti hanno dimostrato che questi materiali possono contribuire ad aumentare la shelf life dei prodotti. La qualità e la croccantezza di molti alimenti a lunga shelf life, per esempio, può essere garantita quando si sceglie un packaging di materiale bio-based multistrato oppure ad alta barriera (nei confronti dell’umidità).

Nel caso invece di prodotti freschi o freschissimi, risultati incoraggianti si sono anche avuti in un lavoro sperimentale con un packaging a base di acido polilattico (PLA) dove si è verificata l’efficacia della conservazione di un gorgonzola. Dopo 4 settimane la modificazione delle sue caratteristiche chimiche, microbiologiche e sensoriali è stata valutata come non significativa. Il PLA si è quindi dimostrato una buona alternativa ai tradizionali imballi in carta o a base di polimeri plastici, per questi tipi di formaggi, contribuendo così alla riduzione dell’impatto del food packaging sull’ambiente.


Condividi su: