Senza un suolo fertile e sano non c’è agricoltura: il suolo impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa per inquinamento o desertificazione. Secondo la Global Soil Partnership della FAO, il 33% del suolo terrestre è già degradato, percentuale che potrebbe salire al 90% entro il 2050. E sempre la FAO avverte che la vitalità del suolo, che si traduce soprattutto nella presenza di miliardi di microrganismi per centimetro quadrato, è messa a rischio anche dalle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in agricoltura: "l’uso eccessivo e improprio dei pesticidi causa danni indesiderati a specie non target (ndr: specie che non sono considerate dannose per l’agricoltura), mentre la persistenza nell’ambiente e i residui tossici possono impattare su specie utili e organismi non target, come gli umani, e possono contaminare le acque e i suoli a scala globale".
E allora, qual è la situazione dei suoli italiani? La campagna di comunicazione e sensibilizzazione sulla salute dei suoli di "Cambia la Terra", il progetto di FederBio con Legambiente, Lipu, Medici per l’ambiente, Slow Food e WWF, ha analizzato 12 suoli agricoli convenzionali comparandoli con altrettanti terreni biologici contigui e adibiti alle stesse colture, in un monitoraggio a carattere dimostrativo, su un totale di 24 aziende agricole.
A presentare i risultati della campagna nel corso del convegno La tutela del suolo passa da un’agricoltura pulita, sono stati, tra gli altri, la Presidentessa di FederBio Maria Grazia Mammuccini, il docente di Agronomia della Scuola Sant’Anna di Pisa, Paolo Bàrberi, il ricercatore Ispra Lorenzo Ciccarese, Gianmaria Sannino, climatologo Enea, Stefano Ciafani, presidente Legambiente, Alessandro Polinori, vicepresidente Lipu, Barbara Nappini, Presidentessa Slow Food Italia e Isabella Pratesi, Direttrice Conservazione WWF Italia.
I risultati: dal glifosato al DDT
Nei campi convenzionali sono state ritrovate ben 20 sostanze chimiche di sintesi tra insetticidi, erbicidi e fungicidi. La sostanza più rilevata è il glifosato, che compare in 6 campi convenzionali su 12, seguito dall’AMPA, un acido che deriva dalla degradazione del glifosato. Si tratta dell’erbicida più usato al mondo, che ha effetti sulla salute degli ecosistemi e su quella umana, e che è rientrato nella lista delle sostanze probabilmente cancerogene dello IARC di Lione (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro).
Delle altre 18 sostanze chimiche di sintesi ritrovate, ben 5 risultano revocate da anni: due, il famigerato DDT e il suo metabolita DDE (sostanza che proviene dal degrado della molecola originaria), resistono in un campo presumibilmente da 44 anni, in quantità non trascurabili.
Le altre (permetrina e imidacloprid), vietate rispettivamente nel 2001 e nel 2018, sono state ritrovate in un campo di pomodori; l’ultima (oxodiazon) revocata nel 2021, in un pereto.
Agricoltura biologica
Per quanto riguarda i campi biologici, le sostanze di sintesi rilevate sono tre, tra cui un insetticida contro le zanzare, e, in uno stesso campo, DDT e DDE. "Si tratta con ogni evidenza di contaminazioni accidentali, da cui il bio cerca da sempre di difendersi", affermano le associazioni.
"I risultati del monitoraggio dimostrativo - ha commentato Maria Grazia Mammuccini, Presidentessa di FederBio - evidenziano che i dati relativi ai campi coltivati con il metodo biologico sono decisamente migliori rispetto a quelli coltivati in convenzionale. Le quantità di residui chimici di sintesi nei campi convenzionali è un dato di fatto, soprattutto per le produzioni intensive, dove si conferma l’urgenza di ridurre l’uso di pesticidi di sintesi chimica e per le quali il biologico può offrire soluzioni innovative, sperimentate da anni con il biocontrollo".
Capitolo a parte, spiegano le associazioni, riguarda il rame, un fungicida consentito anche nel biologico.
Le analisi ne hanno evidenziato la presenza in tutti i 24 campi analizzati. In quasi la metà dei casi (5 su 12) era presente una quantità significativamente maggiore nelle aziende convenzionali; in 4 casi su 12 c’è una equivalenza tra bio e convenzionale e solo in 3 casi su 12 il rame nei campi biologici prevale significativamente sull’analogo convenzionale.
L'importanza dei suoli fertili
Le associazioni ritengono, dunque, che sia necessario avviare un monitoraggio continuo dei residui di pesticidi nel suolo. "Il rischio - ha spiegato Lorenzo Ciccarese dell'ISPRA - è che i pesticidi danneggino la biodiversità contenuta nel suolo. In un grammo di terreno fertile ci sono fino a un miliardo di cellule batteriche, 200 metri di ife fungine, e una vasta gamma di organismi animali, come nematodi, vermi, insetti, che lo rendono vivo e fertile". Ciccarese ha spiegato, dunque, il ruolo centrale del suolo nella salvaguardia della biodiversità. Il suolo sano, infatti, offre riparo a vertebrati, invertebrati, virus, batteri, funghi, licheni e piante, che forniscono una moltitudine di funzioni e servizi ecosistemici a beneficio di tutti.
Solo un suolo fertile può assicurare l’importantissimo servizio di assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera: l’IPCC (il panel scientifico delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) calcola che il suolo sequestra il 30% di anidride carbonica che noi produciamo. L’uso intensivo dei campi agricoli, insieme al consumo di suolo a favore di infrastrutture e del tessuto urbano, ne sta già compromettendo la tutela e la preservazione.
La Compagnia del Suolo: I risultati →
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