L’acqua nell’industria: problemi e soluzioni

L’acqua nell’industria: problemi e soluzioni

Mario Stanga, chimico industriale esperto in sanificazione per l'industria alimentare, ha approfondito i problemi chimico-fisici-microbiologici derivanti dall'acqua di processo

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16

Ottobre
2020

Tratto dall'intervento di Mario Stanga, Chimico industriale - Esperto in Sanificazione per l'industria alimentare

L’acqua è fondamentale. È alla base di tutte le operazioni necessarie per ripristinare le condizioni operative e, in ambito di sanificazione, nell’industria alimentare bisogna avere la consapevolezza di cosa si sta facendo e perché lo si deve fare. E cosa bisogna fare a fine produzione? Pulire e disinfettare (sanificare). Ma la sanificazione è ritenuta un’operazione secondaria, quasi un fastidio all’interno del processo produttivo. Vediamo a cosa serve, cosa si rimuove nel corso della sanificazione: senz’altro microrganismi, ma anche proteine, carboidrati, grasso, minerali, colore, odori indesiderati.

L’acqua è essenziale, prima, durante e dopo le operazioni di pulizia e sanificazione. È presente in ogni fase operativa: infatti pre-lava, forma le soluzioni detergenti e disinfettanti, deterge, risciacqua, e ciò significa che è l’ultima sostanza chimica a contatto con la superficie (dalla quale è rimossa quasi sempre per evaporazione).

Un principio fondamentale della detergenza è che tutto deve essere mantenuto o riportato in acqua. Chi in azienda si occupa di sanificazione è effettivamente a conoscenza delle caratteristiche della propria acqua? È in grado di interpretare i propri dati analitici in relazione ai processi dell’industria alimentare?

Nella produzione alimentare un punto di partenza cruciale è proprio quello di analizzare la propria acqua e di sapere interpretare i dati analitici in rapporto al processo specifico che avviene in azienda.

I problemi causati dall’acqua e dai detergenti sono diversi: depositi (calcare), corrosione, proliferazione di microrganismi, odori, retrogusti. Conoscere le caratteristiche della propria acqua significa conoscere le criticità che si possono incontrare nella produzione aziendale e quindi focalizzarsi maggiormente sulle caratteristiche peculiari della propria acqua.

Cosa si intende per acqua buona? Il concetto di buono è relativo perché un’acqua con caratteristiche tali da essere buona da bere non è necessariamente un’acqua ottimale a scopi produttivi/industriali.
Per comprendere se un’acqua è adatta al nostro scopo occorre conoscere ciò che contiene.

Dal punto di vista della detergenza e della disinfezione, l’acqua deve essere considerata come il più forte solvente che esista. L’acqua proviene dalla falda e porta con sé ciò che trova. Da un punto di vista industriale/produttivo, un’acqua normalmente contiene: solfati, silicati, bicarbonato, colloidi, cloruri, nitrati, calcio, magnesio, bario, ferro, sodio, potassio.
L’acqua serve sì a pulire, ma ioni e componenti solide che porta in sé modificano il concetto di “acqua buona”. Pertanto, devono essere noti e compresi i suoi effetti sulle superfici e sull’alimento in questione.

Affermare che un’acqua è buona e/o applicabile non vuol dire che non porterà problemi, significa semplicemente impostare l’osservazione su ciò che l’acqua evidenzia di più. Di conseguenza è possibile valutarne le caratteristiche e orientare le strategie di risoluzione di problemi che potrebbero derivare dall’acqua stessa.

L’uso di acqua può portare a problemi chimici con deposito di calcare (nelle sue varie forme) e insorgenza di fenomeni di corrosione, ma anche problemi di natura microbiologica con alterazioni sensoriali e/o di tipo tossicologico. Mentre i residui chimici si possono valutare “a occhio” (con una valutazione sensoriale) o con analisi chimiche semplici, la contaminazione microbica non è visibile a occhio nudo e una sua valutazione richiede analisi microbiologiche (nelle diverse modalità) e verifica a posteriori, dopo che il problema si è già verificato.

Le caratteristiche dell'acqua

Le caratteristiche dell’acqua in termini di durezza, salinità, alcalinità, conducibilità e pH possono talvolta essere cause di incrostazioni e corrosioni, portando alla proliferazione di microrganismi e favorendo l’insorgenza di odori e retrogusti indesiderati.

Durezza. La durezza dell’acqua è un parametro indice di quanti sali potrebbero depositarsi e formare calcare. Si parla di una durezza temporanea (esempio bicarbonato, solfato, silicato) se i sali precipitano a formare calcare, oppure di durezza permanente se tali sali rimangono disciolti (esempio cloruri, nitrati). La durezza si misura in gradi francesi e in gradi tedeschi.

Conducibilità. È un parametro di riferimento alternativo alla durezza. Un’acqua dura porta alla precipitazione del calcare, interferisce sulla stabilità, offre protezione ai microrganismi, comporta un consumo maggiore di prodotti chimici, riduce l’attività dei disinfettanti. Più l’acqua è dura (più è alta la conducibilità) più genera calcare.
Vediamo di seguito un esempio:
Dai 3 ai 5 g di detersivo perdono di attività ogni 10 gradi francesi.
Utilizzando 20 g di prodotto per litro di acqua a 10 gradi francesi, rimangono 15 g di prodotto chimico utili per le operazioni di pulizia.
Se invece si utilizza lo stesso quantitativo di prodotto (20 g) con un’acqua a 40 gradi francesi non rimane nulla per lavare perché la durezza dell’acqua consuma tutto il prodotto presente.

Più l’acqua è dura, più aumenta la quantità di detergente che è necessario impiegare e/o anche la necessità di un addolcitore e dell’utilizzo di prodotti acidi.

La scelta di un buon detergente può essere un aiuto valido nel prevenire la precipitazione del calcare quando dotato di una buona struttura sequestrante. Nei detergenti i “controllori della durezza” sono i sequestranti, molecole in grado di formare legami di coordinazione e mantenere solubile il complesso che si forma. Sequestrazione significa avere la capacità di formare legami con ioni metallici polivalenti (come calcio, magnesio, rame, ferro) e formare complessi solubili nei quali gli ioni metallici sono tenuti separati dagli altri componenti della soluzione (sequestrati) impedendo loro di formare depositi. I sequestranti risolvono la maggioranza dei problemi chimici dell’acqua e permettono ai componenti del detersivo di mantenersi attivi.

Salinità. Tutti i sali presenti nell’acqua formano la salinità dell’acqua. Tutti i sali disciolti sono in un equilibrio che viene destabilizzato da qualsiasi operazione l’acqua subisca.
Quando l’acqua si trova in falda è stabile perché ha una certa temperatura e una certa pressione. Quando l’acqua abbandona la falda la sua stabilità cambia. I principali fattori destabilizzanti per l’acqua (modificano, cioè, il comportamento dei sali disciolti) sono:

  • l’alcalinità dei detersivi
  • la temperatura
  • il tempo di asciugatura
  • la presenza di microrganismi.

Come interagiscono con l'acqua?

Carbonati. In acqua potabile non si trova il carbonato ma il bicarbonato, instabile in ambiente acido. Il bicarbonato libera anidride carbonica che esercita un’azione di sgretolamento meccanico. La dissoluzione del bicarbonato porta in soluzione anche il silicato e il solfato. Nell’acqua si trova disciolto l’ossigeno e anche l’anidride carbonica che è in equilibrio con l’acqua: CO2+H2O↔H2CO3.

Cosa scioglie e accumula al suo interno l'acqua

I bicarbonati (HCO3-) sono sali dell’acido carbonico che esistono fino a che esiste CO2 disciolta. Il carbonato si forma se l’acido carbonico viene trattato con una base. Anche se viene trattato aumentando la temperatura, essendo l’anidride carbonica un gas, si forma il calcare (scaldando, la CO2 si allontana). Inoltre, scaldando aumenta anche il pH (si liberano ioni OH-). Più l’acqua è dura, più il pH aumenta. L’aumento di pH deve essere tenuto sotto controllo con aggiunta di un acido perché in alcune tipologie di aziende può creare problemi (si pensi ad esempio a un’azienda che utilizza lattine in alluminio. A pH superiore a 7,8 l’alluminio, dove non è protetto, annerisce, si corrode. Pertanto, il valore di pH deve essere monitorato e mantenuto al di sotto di questo valore).

Silicati. Il calcare da silicato o solfato non viene sciolto dagli acidi. È importante evitare che precipiti adoperando buoni prodotti detergenti. Se si deposita è fondamentale provvedere rapidamente alla sua rimozione.
Dopo il risciacquo e al momento dell’asciugatura i silicati tendono a legarsi alle superfici in acciaio, ceramica e vetro. Quindi con acque ricche di silicato si riscontreranno opacità di superficie. Con detersivi contenenti silicato occorre eseguire un accurato risciacquo.

Solfati. Il calcare da solfato (come per il calcare da silicato) non viene sciolto dagli acidi ed occorre prevenire la sua precipitazione sempre adoperando buoni detergenti. La sua presenza in quantità elevata (superiore a 40 ppm) è un problema in quanto entra nel metabolismo dei batteri solfato riduttori determinando la formazione di corrosione e la liberazione di cattivi odori. I solfati neutralizzano le poliammine lubrificanti dei nastri di trasporto e le disattivano. Si forma biofilm e si blocca il sistema di spruzzo determinando il blocco della produzione (non è più possibile lubrificare i nastri trasportatori).

Cloruri. I cloruli possono determinare fenomeni di corrosione quando il risciacquo è condotto male. La corrosione può derivare da uso di cloro, di prodotti clorinati e di acido muriatico. La corrosione può derivare, inoltre, dall’acqua stessa.

Colloidi. I principali costituenti dei colloidi dell’acqua sono gli acidi umici e fulvici, l’argilla colloidale, gli ossidi metallici (ferro e alluminio), i solfuri e i mercaptani. Aumentano in falde vicino a fiumi, laghi e sedimenti alluvionali. I colloidi vengono quantificati con l’analisi “Kubel test” o test di ossidabilità. Sono responsabili della “domanda di cloro” dell’acqua, del distacco di scagliette all’interno dei tubi e in autoclave, favoriscono la crescita di biofilm in zone stagnanti, interferiscono nella lubrificazione amminica.

Aspetti microbiologici: il biofilm

Il biofilm è un deposito complesso su una superficie che viene costruito dai microrganismi. All’interno del biofilm i microbi si “alleano” e si difendono. Il biofilm si forma quando si trascura una superficie e si forma un sistema stagnante nel tempo.

Esempi di biofilm

La singola cellula microbica su una superficie manda segnali di contatto (speciali proteine) per rilevare la presenza di altre cellule. Quando i segnali si incontrano i microbi sincronizzano il loro metabolismo e insieme si costruiscono un habitat protettivo fatto di muco glico-proteico-alginico (EPS). Al fine di prevenire la formazione di biofilm e tenere sotto controllo questi aspetti è fondamentale evitare la formazione di “punti ciechi” (zone stagnanti di acqua, rami morti degli impianti) e prestare attenzione agli accumuli di acqua (autoclavi), agli addolcitori.

Conclusioni

Dopo aver analizzato le problematiche di tipo chimico e microbiologico legate all’uso di acqua possiamo, in sintesi, ribadire che per comprendere la situazione del sito produttivo e i potenziali problemi presenti è fondamentale conoscere l’acqua. I parametri da valutare sono, almeno:

  • la durezza: indice di precipitazione di calcare, porosità, consumo di detersivo
  • i cloruri: indice di corrosione, porosità superficiale, attenzione uso disinfettanti
  • i solfati: indice di cattivi odori e di corrosione
  • i silicati: indice di opacità, corrosione, porosità
  • l’ossidabilità: indice di presenza di colloidi, di depositi, e di intasamento dei filtri, condizione favorevole alla formazione di biofilm.

I valori di riferimento per definire un’acqua come “buona” nel processo di sanificazione sono:

  • durezza: inferiore a 15 dF
  • cloruri: inferiori a 25 mg/
  • solfati: inferiori a 30 mg/l
  • silicati: inferiori a 8 mg/l
  • colloidi: inferiori a 1 mg O2/l

Ogni scostamento a valori superiori determina uno o più problemi di calcare, di corrosione, di rugosità superficiale, di selezione batterica, di odori e VOC (composti organici volatili).


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