Lo studio di nuove tecnologie per il trattamento dei prodotti alimentari ha subito un forte impulso negli ultimi decenni. Fermo restando lo scopo di avere alimenti sicuri, le tecniche si stanno affinando per ottenere prodotti “naturali” (nel senso che permettano di evitare l’uso di conservanti, poco graditi ai consumatori) e con shelf-life il più possibile prolungata, grazie alla sostituzione o riduzione dei trattamenti tecnologici tradizionali più drastici.
Numerose sono le mild technologies che vengono testate in campo alimentare; tra le cosiddette non-thermal processing vi sono le alte pressioni (HPP) che negli ultimi anni hanno visto un aumento del numero di impianti industriali installati anche in Italia.
Si tratta di una tecnologia che si attua applicando le alte pressioni isostatiche all’interno di un’autoclave idrostatica (High Pressure Processing). Il prodotto da trattare deve essere preconfezionato, in un imballo rigido ma flessibile - in modo da potersi deformare - tipicamente costituito da materiali plastici: non si possono usare vetro, né banda stagnata. Il prodotto viene quindi trasferito in una cesta e questa inserita in una camera di trattamento all’interno dell’autoclave, che viene riempita d’acqua. La pressurizzazione dell’autoclave avviene quando ulteriore acqua viene pompata al suo interno fino ad arrivare a circa un 15% del volume di acqua in più di quella possibile all’interno della camera di trattamento. La pressione viene quindi trasferita al prodotto per mezzo dell’acqua secondo il principio di Pascal. Al termine del trattamento la camera viene svuotata e il prodotto prelevato.
Questa tecnologia presenta una serie di vantaggi. Ecco i principali:
- la pressione viene esercitata istantaneamente e allo stesso modo in tutti i punti del prodotto; sia che si tratti di una confezione da 1 kg, o da 10 kg, il trattamento risulta quindi uniforme su tutta la massa di prodotto
- il prodotto non viene sottoposto a drastici aumenti di temperatura. Le alte pressioni, così come sono concepite oggi, equivalgono, di fatto, a processi di pastorizzazione a freddo e danno la possibilità di ottenere prodotti in cui le caratteristiche sensoriali e nutrizionali sono molto simili a quelle dell’alimento di partenza. Operano infatti “a freddo”, ovvero a temperature prossime ai 20°C ma solamente per la durata del trattamento, che solitamente è tra i 3 e i 7 minuti o comunque a valori notevolmente inferiori a quelli utilizzati nei trattamenti termici tradizionali
- i potenziali microrganismi alterativi presenti sono distrutti per rottura della parete cellulare, anziché per mezzo di pastorizzazione termica. Il trattamento ad alte pressioni non ha tuttavia alcun effetto sulle spore che, essendo sferiche e con una parete cellulare più robusta, oppongono maggior resistenza alla pressione applicata
- le HPP riescono a inattivare i microrganismi patogeni non sporigeni (Salmonella, Listeria monocytogenes, S. aureus ecc.). Un vantaggio che ha aumentato la diffusione e l’applicazione di questa tecnica estendendola a produzioni ad alto valore aggiunto o che richiedono alti standard di qualità o per alcuni prodotti da esportazione verso Paesi che non consentono la presenza di microrganismi come Listeria monocytogenes in salumi e formaggi
- il trattamento post confezionamento del prodotto ha anche il vantaggio di non richiedere una sanificazione preventiva del contenitore.
Oggi le industrie che usano queste tecnologie applicano valori di pressione 5-600 MPa, in grado di inattivare microrganismi asporigeni Gram+, usando come fluido di compressione acqua refrigerata. Per effetto di applicazione della pressione c’è un lieve innalzamento della temperatura del prodotto di circa 18°C (per il solo tempo di trattamento); la temperatura diminuisce repentinamente non appena si scarica il prodotto tornando a livello iniziale (per questo motivo le HPP sono considerate a tutti gli effetti un trattamento a freddo).
In alcuni casi le HPP possono essere associate a trattamento termico, le cosiddette HPP assistite termicamente. L’effetto sinergico di pressione e temperatura è in grado di provocare l’inattivazione di spore e muffe termoresistenti con effetto sinergico del calore (Tabella 1).
L’HPP è una tra le tecnologie fredde più utilizzate per la stabilizzazione e l’aumento della shelf life di prodotti pronti al consumo. Molte sono le applicazioni su succhi di frutta (kiwi, melograno) e succhi vegetali, poiché ne mantiene il colore, evitando l’imbrunimento che si ha quando questi sono sottoposti a riscaldamento, e poiché salvaguarda il contenuto dei microelementi più termosensibili.
È un trattamento che garantisce la sicurezza igienico-sanitaria per salumi destinati all’esportazione in quei mercati che richiedono l’assenza di determinati microrganismi patogeni non sporigeni.
Diverse sono le applicazioni in campo ittico: per l’ammollamento del baccalà, per l’inattivazione di nematodi (Anisakis) e virus, o in sostituzione di operazioni unitarie come la sgusciatura di molluschi bivalvi, che evita il calo peso derivante dai metodi tradizionali, per la perdita di acqua.
Questa tecnologia presenta alcuni limiti che ne circoscrivono l’utilizzo a prodotti ad alto valore aggiunto:
- alti costi per l’installazione. Ancora oggi un impianto di HPP può valere un investimento importante a fronte di volumi non elevati di prodotto trattato
- il processo avviene per batch; non è quindi attuabile su grandi volumi di prodotto, a meno di non avere più impianti o lavorare su più turni
- confezionamento: scelta limitata a packaging flessibile.

Tabella 1 - Pressioni di trattamento per l’inattivazione di microrganismi di interesse alimentare a scopo igienico sanitario
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