COP26: il carbone non si tocca

COP26: il carbone non si tocca

Il Glasgow Climate Pact non definisce vincoli ed esce gravemente indebolito dall'ultima revisione: no alla "eliminazione" del carbone, sì alla "riduzione graduale"

Notizie dal mondo agroalimentare:
prodotti, mercati, tecnologie, processi di filiera

15

Novembre
2021

Dopo il FLOP25 del 2019, quando la nazioni non riuscirono a trovare l'accordo su temi fondamentali come la regolazione del mercato del carbonio, ci siamo ricascati con la COP26: l'accordo di Glasgow, summit sul clima delle Nazioni Unite organizzato da UK e Italia, non ha l'efficacia e la nettezza che ci saremmo aspettati vista la gravità della situazione, ormai da "ultima spiaggia", in cui versa il nostro pianeta.
Il Glasgow Climate Pact ha visto la luce il 13 novembre 2021, un giorno in ritardo rispetto alla prevista chiusura dei lavori, dopo una nottata di sconsolanti trattative che hanno sancito la vittoria della posizione dell'India, Paese che non ha nessuna intenzione di rinunciare all'utilizzo del carbone, come del resto Cina, Australia e USA, ben contente di aver mandato in trincea il delegato indiano. "Non è compito dell'ONU dare prescrizioni sulle fonti energetiche - ha detto infatti il Ministro dell'Ambiente indiano, Bhupender Yadav -. I Paesi in via di sviluppo come l'India vogliono avere la loro equa quota di carbon budget e vogliono continuare il loro uso responsabile dei combustibili fossili". Anche la Cina ha sostenuto la posizione indiana. Segnaliamo di passaggio che Cina, India, USA e Australia sono i quattro maggiori produttori di carbone al mondo.

La bozza di accordo che aspettava solo di essere firmata perché sottoscritta da tutti i Paesi, conteneva l'impegno a "eliminare gradualmente il ricorso all'energia derivante dallo sfruttamento del carbone". La parola eliminare, è stata invece sostituita da ridurre: nel testo originale, il termine phase out (eliminazione) è stato cambiato con phase down (riduzione progressiva)
Diversi Paesi, come la Svizzera, il Liechtenstein e i piccoli Stati insulari, hanno espresso una grande delusione per questo cambiamento del testo: una revisione "odiosa e contraria alle regole" ma che hanno accettato per arrivare a una conclusione del vertice.

I Paesi firmatari del lontano Accordo di Parigi, cioè tutti i quasi 200 Paesi del mondo, con il Glasgow Climate Pact si impegnano a tenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi entro il 2100 dai livelli pre-industriali.

Il documento fissa l'obiettivo minimo di decarbonizzazione al 2030: un taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010. E prevede di arrivare a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Gli Stati devono aggiornare i loro impegni di decarbonizzazione (NDC) entro il 2022. Questi obiettivi, però, sono dichiarazioni di intenti, senza vincoli e prescrizioni per i Paesi.

Come detto, le tre bozze iniziali del documento prevedevano un invito ai Paesi ad eliminare al più presto le centrali a carbone e i sussidi alle fonti fossili.
Ma la storia è andata diversamente, con Alok Sharma, Presidente COP26 e Ministro dell'Ambiente UK, in lacrime: "Posso solo dire a tutti i delegati che mi scuso per il modo in cui questo processo si è svolto e sono profondamente dispiaciuto. Ma è fondamentale proteggere questo pacchetto". E si è scusato, Sharma, anche per i passi indietro sulla finanza climatica e le compensazioni per i danni derivanti dal climate change, che aveva promesso e che i Paesi in via di sviluppo si aspettavano: dal testo finale, infatti, sono spariti i 100 miliardi promessi entro il 2023 ai Paesi svantaggiati. Si è deciso che toccherà alla COP27 in Egitto di mettere i soldi sul tavolo e creare uno strumento di finanziamento in grado di affrontare adeguatamente le perdite e i disastri subiti dai Paesi più poveri.

Il Segretario Generale dell'ONU, Antonio Guterres, ha lasciato Glasgow prima dell'accordo definitivo perché aveva capito l'antifona. Così, ad accordo firmato, ha dovuto ammettere che quanto deciso non basterà a scongiurare la catastrofe climatica che incombe sul pianeta: "I testi approvati sono un compromesso. Riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e le volontà della politica nel mondo di oggi. Prendono impegni importanti ma la volontà politica collettiva non è bastata a superare alcune profonde contraddizioni. Come dissi all'apertura della conferenza, dobbiamo accelerare l'azione per mantenere vivo l'obbiettivo di 1,5 gradi. Il nostro fragile pianeta è appeso a un filo. Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica. È tempo di entrare in modalità emergenza o la speranza di raggiungere emissioni zero arriverà a zero".
Ha anche aggiunto: "Questa è la battaglia più importante della mia vita. Non mi arrenderò mai. Mai arrendersi".

COP26: cosa pensano i non-potenti della Terra

Anche i giovani attivisti hanno espresso delusione e rabbia, sapendo che "il vero lavoro continua fuori da queste sale".
"Ecco un breve riassunto: bla, bla, bla", è stato il commento di Greta Thunberg, che ha aggiunto: "fate attenzione allo tsunami di greenwashing e alle giravolte dei media per inquadrare in qualche modo il risultato come buono, un passo avanti nella giusta direzione. La bozza finale è patetica, uno straccio di documento. Ma noi non ci arrenderemo mai, mai".

Per Legambiente "L'Accordo di Glasgow è inadeguato a fronteggiare l'emergenza climatica soprattutto per le comunità più vulnerabili dei Paesi poveri, ma si mantiene ancora vivo l'obiettivo di 1,5 gradi C". 
"Tra i punti dolenti - commenta ancora Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente - c'è la questione cruciale dell'abbandono dei combustibili fossili affrontata in maniera inadeguata, anche se la loro strada è ormai segnata. E il fatto che non sia stato fatto nessun passo in avanti sulla creazione del fondo Loss and Damage Facility per aiutare i Paesi poveri a fronteggiare la crisi climatica, e su cui a Glasgow è mancato un forte impegno da parte dell'Europa. Per fronteggiare la crisi climatica e per centrare l'obiettivo di 1,5 gradi è fondamentale che tutti i Paesi più avanzati, a partire dall'Italia, aumentino al più presto i propri impegni di riduzione delle emissioni climalteranti e garantiscano un adeguato sostegno finanziario all'azione climatica dei Paesi più poveri".

Per il WWF "I governi dovevano fare progressi per risolvere tre grandi lacune: la mancanza di obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve periodo, la mancanza di regole per fornire e monitorare i progressi fatti, e l'insufficiente finanziamento all'azione climatica necessaria per indirizzare il mondo verso un futuro più sicuro. Alcuni progressi sono stati fatti. Ora i Paesi hanno nuove opportunità per realizzare ciò che sanno che deve essere fatto per evitare la catastrofe climatica. Ma se non faranno leva sull'attuazione concreta dell'azione per il clima e non mostreranno risultati sostanziali, la loro credibilità sarà sempre a rischio".

"La questione centrale è quella degli obiettivi di riduzione delle emissioni. Nel documento finale resta il riferimento agli 1,5 °C di riduzione della temperatura entro il 2030, ma si tratta di un'intenzione non sostenuta da impegni. Perché di nuovo quell'obiettivo è indicato solo come raggiungibile, ma non vincolante. E soprattutto, non è legato alla necessità, per i Paesi, di tagliare la quantità di emissioni necessaria a realizzarlo". Lo scrive la ONG A Sud in un comunicato. "Con le decisioni in campo, includendo anche i timidi passi di Glasgow, gli scenari a fine secolo sono desolanti - prosegue A Sud -. Dai +2,4°C calcolati dal CAT ai quasi +5°C prospettati nel peggior scenario IPCC al 2100. Significa indicatori climatici impazziti, migrazioni di massa, conflitti armati. La fine del mondo per come lo conosciamo".

Dal testo finale sono scomparsi i 100 miliardi promessi entro il 2023 ai Paesi meno sviluppati. Per Laura Greco, Presidente di A Sud "è incredibile che anche a Glasgow, come in tutte le occasioni precedenti, una volta arrivati al punto, i Paesi industrializzati si siano tirati indietro, non riconoscendo le proprie responsabilità storiche".

"L'Italia ha ancora target di riduzione ridicoli - afferma Marica Di Pierri, Direttrice di EconomiaCircolare.com, Co-fondatrice CDCA, Direttivo associazione A Sud -. Preferiamo voltarci dall'altra parte anche di fronte ai disastri climatici che sempre più spesso riguardano il nostro territorio. Non possiamo sperare in una risposta dall'alto. Dobbiamo agire ora e fare causa agli Stati, alle imprese, ai rappresentanti delle aziende fossili, costringendoli per via giudiziaria a rispondere in Tribunale delle loro responsabilità".


Condividi su: